COVID-19: Il Codice della Crisi d’Impresa slitta a settembre 2021

L’emergenza COVID-19 ed il fondato timore che la nuova normativa possa creare un pregiudizio all’imprenditoria italiana, già colpita da questa crisi economica, ha convinto il legislatore a rimandare l’entrata in vigore del Codice.

Prima si è provveduto a rimandare l’attivazione dei soli meccanismi di allerta al febbraio 2021;

Adesso si è rinviato tutto il Codice della Crisi a Settembre 2021 ma già si parla anche di una riscrittura dello stesso per adeguarlo alla attuale congiuntura economica.

Link Notizia

Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, 13 novembre 2019, n. 45936

Anteriore sequestro preventivo di beni del fallito – Curatore – Legittimazione a richiederne il dissequestro – “Disponibilità” da parte sua anche di tali beni.

Il curatore fallimentare è, ad avviso della Corte di Cassazione, soggetto legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca ed è soggetto legittimato anche ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale; ciò in ottemperanza di quanto disposto dall’articolo 322 bis c.p.p. che vede il Curatore come “soggetto avente diritto alla restituzione”, che di fatto interviene dopo il fallimento, in quanto portatore di interessi non prettamente privatistici ma unicamente volti alla massima tutela del ceto creditorio. Del resto anche l’articolo 42 della legge fallimentare al primo comma conferma che con la sentenza dichiarativa di fallimento il fallito viene privato dell’amministrazione e disponibilità dei propri beni, con la conseguenza che tutti i beni (dunque anche quelli sottoposti a sequestro) rientrano nella disponibilità del Curatore al solo fine di garantire la massima soddisfazione del ceto creditorio. La Corte di Cassazione chiarisce altresì che non può essere precluso al Curatore un’autonoma legittimazione ad impugnazione i provvedimenti in materia di sequestro, anche se in un giudizio al quale la curatela era estranea.
Si tratta di una novità di rilievo considerando che, nella attuale situazione normativa, mancava una posizione nitida in merito alla generale facoltà di impugnare, da parte del Curatore, provvedimenti  di sequestro preventivo, anche per equivalente, quando erano stati emessi prima della sentenza dichiarativa di fallimento, non essendo il Curatore titolare di alcun diritto reale sui beni dell’impresa, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale non hanno alcun diritto restitutorio sui beni. Interessante il passaggio in Sentenza: “L’insussistenza in capo alla curatela di una generale facoltà di impugnazione dei provvedimenti cautelari reali, nella situazione normativa attualmente vigente, è stata recentemente ribadita anche rispetto all’intervenuta emanazione del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 320 la cui entrata in vigore è prevista dallo stesso decreto per il 15 agosto 2020, che attribuisce espressamente al curatore tale facoltà con riguardo alla proposizione della richiesta di riesame o di appello avverso i decreti e le ordinanze di sequestro, nonché del ricorso per cassazione avverso le decisioni su dette richieste, nei casi, nei termini e con le modalità previste dal codice di procedura penale. Si è invero rilevato sul punto come proprio il fatto che il legislatore abbia ritenuto di dover conferire al curatore tale facoltà confermi la mancanza della stessa nell’attuale assetto normativo (Sez. 2, n. 27262 del 16/04/2019, Fallimento Eurocoop s.coop., Rv. 276284)”.

Effetti psicologici del terremoto

In una visione ancestrale, la terra è vista come madre e viene associata a sicurezza e stabilità, e rappresenta una profonda certezza per l’uomo.

Quando comincia a tremare, quando tutto crolla, viene meno anche la fiducia, il senso di protezione e la terra si trasforma in un nemico da temere, che attenta alla nostra sopravvivenza provocando paure ed emozioni profondissime: paura della morte, paura di perdere il controllo della propria vita che provoca un senso di impotenza e di allerta continua.

, che attenta alla nostra sopravvivenza provocando paure ed emozioni profondissime: paura della morte, paura di perdere il controllo della propria vita che provoca un senso di impotenza e di allerta continua.

provocando paure ed emozioni profondissime: paura della morte, paura di perdere il controllo della propria vita che provoca un senso di impotenza e di allerta continua.

Il terremoto distrugge quindi le nostre certezze e risveglia addirittura, a livello inconscio, traumi della nascita legati al parto che, di fatto, è un passaggio da un mondo protetto (nel ventre materno) a un mondo esterno sconosciuto e incerto.

L’esposizione a un episodio inaspettato e catastrofico come il terremoto è un vero e proprio trauma che può portare come sintomi disturbi d’ansia, vertigini, disturbi neurovegetativi, disturbi del comportamento, disturbi dell’alimentazione, insonnia, depressione, ecc.

Se l’evento sismico è isolato, questi sintomi si risolvono da soli nell’arco di un breve lasso di tempo (qualche settimana).

Se, come accaduto negli ultimi eventi sismici in Italia, si ha un susseguirsi di scosse di assestamento ed altri eventi sismici minori, si può arrivare ad un disturbo vero e proprio denominato Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS).

Fondamentalmente, i rischi per la sfera psicologica sono legati all’insorgenza di patologie, spesso gravi, conseguenti alla cronicizzazione della paura, che diventa angoscia quando l’evento sismico non si esaurisce in breve ma si protrae nel tempo.

Una simile sollecitazione emotiva innesca una serie di effetti tipicamente legati all’esposizione cronica di stress, quali modificazioni dei livelli ormonali, alterazioni del sonno, variazioni cardiovascolari associate a un maggior rischio di sviluppare ipertensione, tachicardia e talvolta infarto del miocardio.

Trasformare edifici abbandonati in atelier d’arte

Il Ministero dei beni e delle attività culturali propone un nuovo elenco di edifici congrui per le finalità del progetto:

1) Vico Pisano (PI) – Palazzo Ducale – ex “Casello Idraulico”;   
2) Livorno, “Torre di Calafuria”;   
3) Firenze, “Villa Carducci Pandolfini” ;   
4) Trieste, Fabbricato “TSB0448”, in via Bramante n. 5;   
5) Trieste, Fabbricato “TSB0514”, in via Belpoggio n. 28;   
6) Bari, Fabbricato “La Torretta”;   
7) Ancona, “Rifugio Antiaereo”. 

L’Agenzia del Demanio dovrà pubblicare i bandi per l’assegnazione in concessione, per un periodo non inferiore a dieci anni a un canone mensile simbolico non superiore a 150 euro, a cooperative di artisti ed associazioni di artisti residenti nel territorio italiano. 

Nel bando saranno indicate le modalità d’uso dell’immobile, la tipologia di produzione artistica compatibile con la natura del bene concesso in uso o locazione, anche in relazione ai piani urbanistici e di riqualificazione urbana del territorio in cui si trova l’immobile.

Gli interessati dovranno presentare un progetto artistico, di durata almeno decennale, con indicazione delle iniziative che si intendono realizzare e dei mezzi finanziari per farvi fronte. 

Nella valutazione sarà data priorità ai progetti che presentano determinati requisiti, come:
a) interdisciplinarietà tra diversi settori artistici; 
b) disponibilità a condividere i locali concessi in uso con artisti provenienti da altri territori italiani e stranieri coinvolti nella realizzazione del medesimo progetto; 
c) attuazione periodica di iniziative aperte al pubblico; 
d) alternanza, nei locali concessi, di produzioni artistiche e dei relativi artisti; 
e) relazione organica e costruttiva con il territorio di riferimento e con l’intera filiera artistico-culturale e creativa; 
f) sostenibilità e fonti plurime di finanziamento, pubblico o privato; 
g) promozione da parte di cooperative di artisti ed associazioni di residenti composte prevalentemente da artisti di età inferiore ai 35 anni; 
h) raccordo con il tessuto culturale e le tradizioni culturali del territorio in cui è sito l’immobile, creando sinergie con gli enti locali e le associazioni culturali gia’ attive nel contesto; 
i) gestione eco-sostenibile dell’immobile. 

Dovrà anche essere prevista nell’ambito del progetto e compatibilmente con la tipologia dell’immobile, la realizzazione di servizi aggiuntivi tipo ristorazione, caffetteria, accoglienza, gestione di punti vendita di prodotti culturali, purchè non abbiano carattere prevalente rispetto alla produzione artistica.

Una volta ottenuto l’immobile, i beneficiari dovranno realizzare un sito internet entro 60 giorni dall’avvio del progetto artistico in modo che questo sia fruibile dalla collettività.

Gli oneri della manutenzione ordinaria saranno a carico del locatario o concessionario, mentre per gli interventi di manutenzione straordinaria è prevista, a favore degli assegnatari degli immobili, l’erogazione di contributi a fondo perduto in proporzione alle spese sostenute.

Nelle proposte dovrà essere curata con attenzione la progettazione degli interventi di recupero.
I progetti dovranno essere accompagnati da adeguati elaborati tecnici realizzati da professionisti operanti nel settore dell’edilizia, dell’urbanistica e del paesaggio.
Gli immobili dovranno subire una trasformazione compatibile con lo spazio concesso. Nella valutazione delle proposte, infatti, l’Ente gestore terrà conto della compatibilità del progetto artistico con le caratteristiche strutturali dei luoghi in cui i progetti saranno realizzati.

COMMENTARIO ALLA LEGGE FALLIMENTARE 2017

E’ uscito per Dike Giuridica il commentario alla legge fallimentare 2017 cui ha curato la stesura, tra i professionisti, l’Avv. Simone Pesucci.

Il Commentario offre una panoramica normativa della materia dopo le riforme che hanno recentemente ridisegnato, attraverso un articolato percorso, le procedure concorsuali e si rivolge agli operatori (avvocati, curatori fallimentari, magistrati e studenti) proponendo il confronto tra vecchia, intermedia e nuova disciplina, al fine di agevolare la consultazione non solo della norma specifica, ma anche di quelle nozioni indispensabili per la comprensione, in quanto ad essa correlate.

 

L’IMPORTANZA DI UNA PERIZIA ACCURATA IN TEMA DI USURA E ANATOCISMO

Nel corso degli ultimi anni abbiamo visto un proliferare di cause attive promosse nei confronti degli istituti bancari fondate su usura oggettiva, soggettiva e anatocismo.

Il privato, il commerciante, la piccola e media impresa hanno tutti capito che il rapporto con le banche è profondamente cambiato: non è più caratterizzato da una inferiorità patologica dettata dalla causa giuridica che lo genera, ovvero la necessità di accedere al credito; infine anche la giurisprudenza ha cominciato a riequilibrare questo rapporto.

si assiste ad un proliferare negli ultimi anni di un fiorente commercio dietro la promessa di ribaltare le sorti del rapporto tra dare e avere, tra banca e cliente. Molte società offrono assistenza legale e perizie strutturate per verificare l’esistenza di usura e anatocismo nei vostri conti correnti, mutui e affidamenti.

Come spesso accade anche in altri settori non giuridici, la verità probabilmente sta nel mezzo: se da un lato è importante per il cliente avere il diritto di verificare l’operato dell’istituto bancario, dall’altro occorre non imbarcarsi in imprese degne del miglior Don Chisciotte del diritto, con il rischio di trovarsi impigliati tra le pale del mulino a vento contro il quale ci hanno fatto strenuamente combattere.

Ci sono quindi alcuni aspetti preliminari che vanno considerati per affrontare le situazioni ed i rapporti bancari prima di avviare una azione giudiziaria contro la Banca di turno.

 

  1. COMPLETEZZA DELLA DOCUMENTAZIONE

Non si può fare una perizia sensata se la documentazione non è completa.

Per documentazione completa si intende:

Contratti di conto corrente, documento di sintesi, eventuali modifiche, linee di credito, prestiti chirografari:

Estratti conto scalari dall’inizio del rapporto sino alla sua chiusura.

 

Chi estrapola preanalisi gratuite (che non sono perizie) senza questi dati vi fornisce solo una generica e vaga idea della patologia che si nasconde nelle pieghe dei vostri contratti bancari.

Purtroppo in alcuni casi le preanalisi hanno un solo fine: farvi vedere un potenziale recupero (spesso migliaia di euro tra usura e anatocismo) e quindi spingervi a pagare per la perizia finale.

Diffidate di questo strumento o quantomeno siate consapevoli che da una preanalisi che afferma un potenziale recupero di 30.000 euro può benissimo emergere una perizia che vi legittima a chiederne solo 300; a voi le valutazioni di opportunità.

Solo con tutti i dati completi potete pretendere una risposta completa. Se avete una documentazione parziale, prima di chiedere una perizia occorre richiedere al proprio istituto di credito i documenti mancanti.

È un vostro diritto, ai sensi dell’articolo 119 Testo Unico in materia bancaria: la Banca avrà 90 giorni per restituirvi le copie richieste.

 

  1. PERIZIA REALISTICA

Rivolgetevi ad un professionista specializzato per ottenere una perizia attendibile.

Questa potrebbe essere una affermazione scontata ma non lo è: quella perizia è il vostro principale strumento per la corretta istruzione della causa, quindi deve essere non solo completa e affidabile, ma anche redatta da un professionista esperto della materia.

Il consiglio che fornisco ai miei clienti è di affidare questo incarico ad un soggetto che già opera come consulente del Tribunale stesso.

Questo per due essenziali motivi: il professionista conoscerà la prassi di quel tribunale, l’orientamento prevalente sul tema (l’argomento dell’usura bancaria è assai mutevole e soggetto a svariate interpretazioni che cambiano di anno in anno e da un foro all’altro); molto probabilmente il professionista dopo avervi redatto la perizia iniziale sarà poi chiamato ad operare come consulente tecnico di parte nella ctu disposta dal giudice: è fondamentale che sia sempre lo stesso soggetto a seguirvi per tutta la procedura.

 

  1. UNA VALUTAZIONE LEGALE (ANCHE) DI OPPORTUNITA’

Questo è l’aspetto più complesso e controverso: il commercialista deve fornirvi numeri realistici per consentire a voi di capire se conviene o meno avviare l’azione legale.

La serietà professionale passa da questo punto focale: deve essere in grado di dirvi, anche, che non c’è margine di recupero; che nel vostro caso ha ragione la Banca.

in altri casi il contenzioso con il vostro istituto di credito può essere giunto ad una fase processuale in cui talune eccezioni non possono più essere proposte; quindi conviene fare anche una valutazione sulla tempestività.

E’ difficile capire quando agire per primi e quando invece fermarsi per tempo: la scelta passa tutta attraverso la perizia e la sua attendibilità: potreste evitare la soccombenza delle spese legali e magari pensare ad una proposta transattiva, un piano di rientro concordato sempre con l’assistenza dei professionisti.

 

  1. CONCLUSIONI

È utile verificare sempre il rapporto bancario, specialmente se siete una piccola o media impresa attiva da molti anni; per farlo dovrete disporre della documentazione integrale che avrete il diritto di esigere dalla vostra Banca.

Rivolgetevi ad un commercialista o una società specializzata nel settore, meglio se con esperienza già di consulenza tecnica presso il Tribunale presso il quale andrà instaurato il giudizio.

Valutate seriamente la convenienza di instaurare un giudizio, fatevi fare un preventivo completo sui costi della perizia, del legale e della ctu, con una eventuale ipotesi di soccombenza: confrontate l’ipotesi con quella di una trattativa stragiudiziale con la banca per la ristrutturazione del vostro debito.

In ultimo però voglio anche ricordare che oggi gli istituti bancari sono molto più “prudenti” che in passato: faranno le stesse vostre valutazioni, verificheranno i tassi applicati per evitare una soccombenza e valuteranno molto più volentieri una transazione a saldo e stralcio, di fronte alla prospettiva di un lungo e difficoltoso recupero coattivo; ricordate che anche loro devono pagare il legale, il consulente di parte, le spese del procedimento e di esecuzione per sperare, infine, di veder recuperata una parte del loro credito originario.

Oggi più che mai è essenziale lavorare in team per questo tipo di problematiche: solo un gruppo con esperienza potrà fornirvi il supporto adeguato per raggiungere un risultato di successo.

 

 

a cura di Simone Pesucci

SOCIO UNICO di S.R.L: ESTENSIONE del FALLIMENTO

Ci si chiede cosa accada nel caso di fallimento di una società a responsabilità limitata con socio unico nel caso che questi non abbia rispettato gli obblighi che la legge impone in merito alla pubblicità presso il registro delle imprese.

Come sappiamo, l’art. 147, co. 1, L.F. prevede che la sentenza dichiarativa di fallimento di una società che appartenga ad uno dei tipi regolati dai capi III (società in nome collettivo), IV (società in accomandita semplice) e VI (società in accomandita per azioni) del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.

Dalla lettura di questo comma dunque resta esclusa l’estensione del fallimento della società a responsabilità limitata nel caso in cui vi sia un unico socio che non abbia adempiuto agli obblighi pubblicitari ai sensi degli articoli 2462 e 2470 del codice civile.

L’articolo 147, co.1, L.F è molto chiaro su quali siano i soggetti, nei confronti dei quali il fallimento della società ha ripercussioni, determinandone l’estensione e tra questi non vi sono i soci illimitatamente responsabili delle società di capitali.

L’estensione infatti è la conseguenza di una scelta dettata dall’appartenenza, ad una società nella quale, fin dalla costituzione, il socio ha inteso garantire, con il proprio patrimonio le obbligazioni della società nei confronti dei terzi: sappiamo che tendenzialmente i soci di una società di persone sono anche amministratori e rappresentanti della società e i loro atti impegnano sia la società che il patrimonio; impegnano inoltre anche gli altri soci, che rispondono illimitatamente con il patrimonio personale per i debiti cosiddetti sociali.

Nella società di capitali vi è invece una tendenziale irrilevanza della persona del socio, proprio perché egli non è responsabile per le obbligazioni sociali. Nel caso dunque fallisca una società a responsabilità limitata con socio unico, il curatore non potrà aggredire il patrimonio personale del socio, né dichiararne il fallimento in modo automatico; il socio resta certamente illimitatamente responsabile per i debiti contratti dalla società in solido con la stessa; egli in pratica è responsabile nei confronti dei creditori della società solo per il fatto di non avere posto in essere tutte le cautele che la legge attribuisce al socio che si trova ad essere l’unico di una società di capitali. I creditori della società e solo loro potranno infatti agire nei confronti del socio, non potendo di fatto il curatore che per il socio diviene un condebitore solidale.

E’ evidente che il creditore che dovesse aggredire il patrimonio personale del socio in questo caso, avrà una pretesa ridotta nei confronti della società. E questo, di fatto, è l’unico vantaggio per la procedura, che, come si evince dalla lettura degli articoli 61 e 62 L.F. in tema di creditore di coobbligati solidali, vedrà ridotti i propri debiti per effetto del soddisfacimento del terzo sul patrimonio del socio.

A cura di Silvia Cecconi

CONTROLLO sulla FATTIBILITA’ ECONOMICA del PIANO di CONCORDATO

La Sentenza 4915 della Corte di Cassazione depositata il 27 febbraio 2017 ribadisce un concetto molto importante, per il quale, il controllo di legittimità del Tribunale in tema di concordato preventivo si realizza applicando un unico criterio in sede di ammissibilità, revoca ed omologazione della procedura che si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta. La Cassazione ha infatti accolto il ricorso presentato dalla curatela di una società dichiarata fallita, avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva revocato il fallimento, dichiarato a seguito della pronuncia di inammissibilità della proposta di concordato preventivo con continuità aziendale. Il giudice fallimentare aveva infatti sollevato il problema della genericità sia del piano concordato sia della relazione di attestazione, che, per le caratteristiche, portavano ad escludere la fattibilità del concordato preventivo.

La Suprema Corte ha finalmente rigettato l’idea secondo la quale il controllo sulla fattibilità del piano non consentirebbe di sindacare sugli aspetti economici della proposta, rimettendo in sostanza al Tribunale il solo compito di una fattibilità di tipo giuridico. La decisione, ad avviso di chi scrive, va a chiarire aspetti di incertezza che fino ad oggi hanno portato a ritenere che la fattibilità di tipo economico sia rimessa unicamente ai creditori. La Corte di Cassazione ha precisato infatti che il controllo sulla legittimità viene attuato anche avuto riguardo alla realizzabilità della causa concreta, da intendersi come obiettivo che si pone la società nei confronti dei creditori, che certamente non può e non deve essere generico. Questo presuppone chiaramente un controllo sul contenuto della proposta, che deve essere improntata ad assicurare la soluzione alla crisi di impresa, rimuovendola, mediante il migliore soddisfacimento a favore dei creditori. Ed è in questa ottica che deve intervenire un controllo da parte del Tribunale, volto a considerare il rispetto circa l’effettiva realizzabilità del piano, questione che va al di là del controllo cosiddetto formale. Ed è per questo che, stabilisce la Cassazione, “neppure è esatto porre a base del giudizio una summa divisio tra controllo di fattibilità giuridica astratta (sempre consentito) e un controllo di fattibilità economica (sempre vietato)….(omissis)…il giudice è tenuto a una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore al concordato, e la differenza nozionistica dalla corte d’appello richiamata serve semplicemente a questo: che mentre il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica, intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili, non incontra particolari limiti, il controllo sulla fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi“. Ai creditori di fatto è riservata la valutazione della convenienza di una proposta plausibile, rispetto all’alternativa del fallimento, oltre che la specifica realizzabilità della percentuale di soddisfazione offerta a ciascuno di essi con il piano stesso.

Il giudice deve poter estendere il proprio esame alla idoneità del piano e dell’attestazione del professionista in rapporto ai punti in base ai quali il piano è stato articolato.

A cura di Silvia Cecconi

 

 

TRASFERIMENTO FITTIZIO della SEDE all’ESTERO e DICHIARAZIONE di FALLIMENTO

Il trasferimento della sede legale all’estero per un’impresa che abbia poi proseguito la propria attività in Italia, quando effettuato in modo ingannevole, non permette di computare il decorso del termine annuale dalla cancellazione della stessa dal registro delle imprese, nel caso in cui una società presenti i requisiti per poter essere dichiarata fallita. Quando infatti la cancellazione di una società dal registro delle imprese non sia la conseguenza del totale compimento delle operazioni di liquidazione, in modo che effettivamente abbia un senso la sua cancellazione (o per effetto di altra condizione necessaria per la cancellazione della stessa), non si rende applicabile l’articolo 10 della legge fallimentare, considerando che questo trasferimento non comporta di per sé il venir meno della continuità giuridica della società, né comporta la cessazione dell’attività. E’ quanto emerge dalla lettura della Sentenza della Cassazione Civile, Sez. I, n. 43 del 4 gennaio 2017. Tale posizione era stata già assunta dalla Cassazione s.u., con sentenza 5945 del 2013. Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, è stato escluso il trasferimento della sede della società in Moldavia, sulla base del presupposto di permanenza operazionale in Italia. L’effetto fondamentale di tale convincimento non determina, come effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese, il decorso del termine previsto dall’articolo 10 della legge fallimentare. La fittizietà del trasferimento unita alla permanenza dell’attività in Italia, non fanno perdere al giudice italiano il potere di dichiarare il fallimento della società come previsto dall’articolo 9 della legge fallimentare, così come non implica alcuna equivalenza normativa tra cancellazione e inesistente cessazione della attività. Tale assunto trova applicazione anche se non sia intervenuto preventivamente, come previsto dall’articolo 2191 c.c. un provvedimento di segno opposto alla cancellazione della società, tanto che diviene irrilevante stabilire da quale data effettivamente sia cessata l’attività della società trasferita all’estero solo fittiziamente, in modo da poter controllare che il fallimento intervenga poi non oltre l’anno come richiesto dall’articolo 10 della legge fallimentare.

A cura di Silvia Cecconi