REQUISITO DI FALLIBILITA’: INDEBITAMENTO COMPLESSIVO dell’IMPRENDITORE

La recente Sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, n. 601 del 12 gennaio 2017 affronta il tema del requisito di fallibilità previsto dall’articolo 1, co. 2, lett. c) L.F in merito al requisito dell’esposizione debitoria dell’imprenditore. Viene ribadito il concetto secondo il quale i presupposti per la valutazione della fallibilità di un soggetto devono basarsi sulla situazione complessiva dell’imprenditore, nella quale deve tenersi conto non solo dei debiti sorti e contabilizzati in bilancio, certi dunque nel loro ammontare, ma anche di quelli ulteriori, contestati in tutto e in parte e ancora non certi nel loro ammontare. Questo elemento, infatti, non impedisce all’imprenditore di includere posizioni debitorie non ancora certe nel loro ammontare perché oggetto di contestazione – tra i debiti della società – e ciò non solo ai fini di una rappresentazione veritiera e corretta del bilancio dell’esercizio, richiesta dall’articolo 2423 c.c., ma anche per l’individuazione dell’ammontare complessivo dell’indebitamento della società per la valutazione dei requisiti di fallibilità.  L’appostazione, come nel caso analizzato dalla Corte di Cassazione con la Sentenza 601/2017, di un fondo rischi e oneri iscritto in bilancio per la copertura di un debito probabile ma ancora non certo nell’ammontare, risponde ad un requisito di correttezza nella predisposizione del bilancio oltre che del rispetto di quanto previsto dai principio contabili (OIC 19) secondo il quale i fondi per rischi ed oneri accolgono gli accantonamenti destinati a coprire perdite o debiti aventi, alla chiusura dell’esercizio, le seguenti caratteristiche: natura determinata, esistenza certa o probabile, ammontare o data di sopravvenienza della passività indeterminati, ammontare della passività attendibilmente stimabile. E’ di tutta evidenza quindi, l’importanza, ai fini della determinazione dei requisiti dimensionali per essere assoggettati al fallimento, l’individuazione dell’esatto ammontare dei debiti dell’imprenditore, che dovrà tenere conto dunque, anche di passività certe nella manifestazione ma ancora incerte nel loro ammontare e questo anche nel rispetto di quanto richiesto dal Legislatore ai fini della predisposizione del bilancio d’esercizio.

A cura di Silvia Cecconi

FALLIMENTO – MISURE di PREVENZIONE ANTIMAFIA – COMPARABILITA’.

Come chiaramente espresso dalla Sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, n. 608 del 12 gennaio 2017, la procedura di sequestro preventivo antimafia e quella di fallimento si fondano su presupposti differenti; il fallimento basa la propria ragione di esistenza sul concetto di insolvenza e ha requisiti soggettivi e oggettivi circoscritti ad un preciso ambito temporale, soprattutto legati alla mancata cessazione dell’attività imprenditoriale. Tra le ragioni che hanno portato al contenzioso vi è la supporta revoca del fallimento di una società, basata sul fatto che la misura di prevenzione aveva ad oggetto oltre alle quote della stessa, anche tutti i beni facenti parte del suo patrimonio, fatto questo che da solo avrebbe impedito la dichiarazione di fallimento. Come già rilevato in altre pronunce dalla Corte di Cassazione (Cass. 8238/2012, 1739/2014), la mancanza di una massa attiva da ripartire tra i creditori non può essere un ostacolo alla dichiarazione di fallimento, per il quale peraltro, l’articolo 118, co. 4, L.F., prevede al n.4, l’ipotesi di chiusura della procedura per mancanza di attivo. L’articolo 63, co. 6, del codice antimafia, approvato con Decreto Legislativo 6.9.2011, n.159, prevede la possibilità di chiudere il fallimento quando, tra i beni dell’attivo vi siano esclusivamente beni sottoposti a sequestro; altro principio simile a questo è ribadito dall’articolo 64, co. 7 dello stesso decreto, previsto in caso di sequestro o confisca sopravvenuti al fallimento. L’articolo 63, co. 1 del decreto 159 espressamente prevede che ” salva l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento assunta dal debitore o da uno o più creditori, il pubblico ministero, anche su segnalazione dell’amministratore giudiziario che ne rilevi i presupposti, chiede al tribunale competente che venga dichiarato il fallimento dell’imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o a confisca“. Il successivo comma 4 prevede che  “quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare“. Se invece il fallimento avviene prima del provvedimento di sequestro, allora il comma 1 dell’articolo 64 D.Lgs. 159/2011 interviene prevedendo la separazione dei beni con conseguente consegna degli stessi all’amministratore giudiziario. Ancora, l’articolo 65 del D.Lgs 159/2011 prevede che qualora la dichiarazione di fallimento sia successiva all’applicazione delle misure di prevenzione del controllo ovvero dell’amministrazione giudiziaria, la misura dei prevenzione cessi sui beni compresi nel fallimento. La cessazione è dichiarata dal Tribunale con ordinanza. Inoltre, nel caso in cui alla chiusura del fallimento vi siano beni sottoposti a misure di prevenzione, il Tribunale della prevenzione dispone con decreto l’applicazione delle misura sui beni medesimi, ove persistano esigenze di prevenzione. Come giustamente espresso con la Sentenza oggetto di commento:” le due procedure si fondano invero su presupposti differenti, tra cui – quanto al fallimento – l’insolvenza, i requisiti soggettivi temporalmente determinati, la non cessazione dell’attività: tutte circostanze il cui accertamento non è ripetibile identicamente ad epoche diverse, giudicandosi pertanto irrazionale una posticipazione della tutela dei creditori a fronte di un interesse pubblico che può nel frattempo divenire recessivo. Proprio tale considerazione, unitamente alla necessità di valutare la legittimità della dichiarazione di fallimento al momento in cui venne disposta, impongono di ripetere il principio ancorché nella fattispecie sia stata rappresentata dalle parti la sopravvenuta revoca della misura di prevenzione“.

 

A cura di Silvia Cecconi

INDICATORI di ALLERTA nella CRISI di IMPRESA

Il 1 febbraio 2017 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge C 3671-bis che contiene una delega al Governo per la riforma della materia relativa alla crisi di impresa e all’insolvenza, con una parte dedicata ai cosiddetti indicatori di allerta. Tale disegno è al momento in Senato (S.2681).

Nel testo del disegno di legge relativo alla crisi di impresa, all’articolo 4, sono stati previsti indicatori di allerta in presenza dei quali l’organo di controllo di una società deve immediatamente riferire all’organo di amministrazione della stessa, nel rispetto di un requisito fondamentale: la tempestività dell’azione da parte dell’organo maggiormente in grado di riferire in merito a determinate situazioni, ossia quello di controllo. In caso di adeguato intervento da parte dell’organo amministrativo, si prevede la necessità di informare l’organo di composizione della crisi. La definizione che il Legislatore dà allo stato di crisi, infatti, ruota attorno ad un concetto basato sostanzialmente sull’anticipazione degli effetti della stessa, intesa dunque come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto della scienza aziendalistica, mantenendo tuttavia inalterato il concetto di insolvenza previsto dall’articolo 5 della legge fallimentare.

La tempestività dell’azione è da ricondursi alla necessità di intervento che il Legislatore porrebbe a carico dell’organo amministrativo, dal momento in cui viene prevista la necessità di intervenire nell’arco di sei mesi dal manifestarsi degli indicatori di allerta della crisi. Il disegno di legge di fatto, attribuisce tale compito ad indicatori finanziari, quali il rapporto tra mezzi finanziari propri e di terzi, l’indice di rotazione del magazzino, dei crediti, l’indice di liquidità corrente e differita. Il tentativo del Legislatore, a ben vedere, è volto all’anticipazione di effetti che possono avere ripercussioni molto negative a livello economico, cercando di evitare soluzione di crisi che in realtà hanno ben poco da salvare. Non di rado infatti si assiste a tentativi di soluzione che riguardano realtà già ormai decotte da anni, con effetti evidentemente distorsivi anche per il sistema economico. Ciò che al momento emerge, dunque, è la necessità di individuare la crisi, evitando soluzioni che di tempestivo, ad onor del vero, non hanno alcunché. E se gli indicatori finanziari hanno certamente una rilevanza fondamentale, non da meno il rispetto dei principi contabili che forniscono in modo preciso come deve essere redatto un bilancio di esercizio, nel rispetto di quella rappresentazione veritiera e corretta cui fa riferimento l’articolo 2423 del codice civile.

Nel disegno di legge si fa riferimento all’obbligo dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale: a sottolineare come la tempestività lasci spazio a pochi errori, coadiuvata dalla correttezza nell’impostazione dei dati. Lo scopo è quello di aiutare l’impresa ad affrontare la crisi, prima che sia troppo tardi. E questo anche a causa del tentativo dell’imprenditore di tentare il tutto per tutto, alimentato dalla paura dello stesso di affrontare la crisi, finendo per distruggere invece che salvare. E il ruolo che l’organo di controllo (collegio sindacale, sindaco unico, revisore dei conti, società di revisione) assume in questa fase, delinea, semmai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza che tale organo riveste all’interno di una realtà societaria; spetta a questo organo infatti, rilevata l’esistenza di fondati indizi di crisi, il compito di avviare una procedura di allerta, con un avvertimento immediato al consiglio di amministrazione (cosa che di fatto dovrebbe già avvenire), che in caso di mancata risposta, dovrà essere rivolto all’autorità giudiziaria. Un’allerta che potremmo definire dunque interna alla società, volta alla totale protezione di coloro che, creditori, sono lontani dal conoscere la realtà delle cose e che si affianca all’allerta cosiddetta esterna, sensibilizzata dall’intervento di creditori esterni e qualificati, come l’amministrazione finanziaria. Non dimentichiamo che i principi di comportamento del collegio sindacale di società non quotate prevedono una norma, la 11.1, che riguarda la prevenzione ed emersione della crisi, a significare l’importanza che attribuisce a questo organo, affiancata dagli indicatori previsti principio di revisione 570; il Legislatore oggi vuole sottolineare l’attenzione particolare che l’organo di controllo di una società deve prestare in caso di crisi aziendale, proprio quando, verificandosi alcune circostanze, nel rispetto del postulato fondamentale della continuità aziendale.

 

A cura di Silvia Cecconi

Gli Ingegneri possono intervenire su edifici artistici?

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) ha chiesto al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) di chiarire una volta per tutte gli ambiti in cui gli ingegneri possono intervenire su edifici vincolati di pregio storico e artistico.

Infatti sarebbe necessaria una maggiore chiarezza in questo ambito, ovvero sulla questione delle competenze professionali.

Ci sono diverse sentenze discordanti e servirebbe una regolamentazione ufficiale e definitiva sulle tipologie di intervento che gli ingegneri possono effettuare sugli edifici vincolati.

La possibilità per gli ingegneri di occuparsi di edifici vincolati è stabilita dall’art. 52 del Regolamento per le professioni di Ingegnere e di Architetto, secondo cui la “parte tecnica” degli interventi sugli edifici di pregio e carattere artistico può essere effettuata sia dall’architetto che dall’Ingegnere.

La circolare del 30/4/2015, n. 15 riporta “Disposizioni in materia di tutela del patrimonio architettonico e mitigazione del rischio sismico” ed ha il dichiarato scopo di “sensibilizzare” tutte le figure che hanno influenza sulla gestione del patrimonio, a certe condizioni.

Ed è proprio questo il motivo che ha spesso portato a dubbi interpretativi ed, ovviamente, a non poche divergenze tra le diverse categorie.

 

Far fronte al rischio sismico

Il nostro è un Paese sismico, ormai lo abbiamo capito molto bene, anche se da sempre ci viene detto!
Per far fronte al rischio sismico c’è solo una strada da seguire, quella della prevenzione.

Quello che oggi viene maggiormente chiesto ai progettisti è la proposta edifici di rapida messa in opera, economici ed ad alta redditività in linea con le attese di una committenza che si orienta sempre più verso costruzioni sicure che siano al contempo convenienti ed efficienti.

Se poi sono anche architettonicamente gradevoli, meglio.

In questo panorama, purtroppo, l’attenzione alla progettazione, ma soprattutto ai dettagli di carattere strutturale, vengono quantomeno rilegati in un piano inferiore.

Dobbiamo occuparci della sicurezza dei nostri edifici e crescere, in questo senso, dal punto di vista culturale, non pensando sempre che sia un fatto ineludibile e chiedendoci, piuttosto, se le nostre abitazioni, le nostre scuole e i luoghi dove lavoriamo e dove sono concentrate le nostre attività produttive siano sicuri e in grado di resistere a un terremoto.

Secondo alcune stime, il 70% dell’edificato italiano non è in grado di resistere ai terremoti ed è proprio in considerazione della vulnerabilità del nostro patrimonio che le scelte dei futuri interventi in edilizia devono tener conto dell’esperienza di Paesi che hanno saputo affrontare e vincere la sfida ai terremoti: Giappone e USA, per esempio, dove le costruzioni in genere e quelle antisismiche in particolare, sono realizzare con strutture moderne, materiali innovativi e, magari, anche più economiche di quelle “tradizionali”.

Sulla rottamazione delle cartelle di pagamento emesse da Equitalia

Il 4 novembre scorso, l’agente per la riscossione ha pubblicato sul proprio sito internet il modulo di adesione alla definizione agevolata prevista dal cd. “Decreto Fiscale” (art. 6, d.l. n. 193/2016) che consente di regolarizzare i carichi affidati a Equitalia tra il 2000 e il 2015 senza pagare le sanzioni e gli interessi moratori. Equitalia comunicherà al contribuente entro il 24 aprile 2017 (180 giorni dopo la pubblicazione del d.l. sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta lo scorso 24 ottobre) l’ammontare complessivo delle somme dovute e invierà i bollettini di pagamento.

Avranno la possibilità di presentare domanda tutti i contribuenti che hanno ricevuto cartelle di pagamento dal 2000 al 2016 emesse da Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, per ruoli relativi ad imposte come Imu, Irpef, Irap, Ires, e a contributi previdenziali e assistenziali affidati dall’Agenzia delle Entrate, dall’Inps o dall’Inail.

Quindi, come si evince dal Decreto Legge n. 193/2016 le cartelle notificate prima del 2000 non godono della sanatoria.

Non rientrano nel nuovo piano di rottamazione le cartelle riguardanti l’Iva riscossa all’importazione, le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna, i crediti da danno erariale per sentenze di condanna della Corte dei Conti, il recupero di aiuti di Stato, e infine le sanzioni pecuniarie dovute per provvedimenti e sentenze penali di condanna.

Tutti i contribuenti che decideranno di aderire alla nuova rottamazione, dal 2017, saranno comunque tenuti a versare il rispettivo debito capitale, gli interessi per dilazione di pagamento (4%) e l’aggio (ricalcolato), tuttavia verranno risparmiati dal calcolo delle sanzioni e degli interessi sulla multa ricevuta.

Possono aderire tutti coloro che sono destinatari di una cartella di pagamento che abbia i requisiti sopra descritti. Potranno accedere anche coloro che hanno già un piano di rateizzazione ma, in tal caso, dovranno pagare integralmente le rate in scadenza fino al 31 dicembre 2016.

Sono esclusi coloro i quali finiranno il pagamento dei loro debiti il 31 dicembre.

Sono ammessi, inoltre, anche i contribuenti che hanno un contenzioso aperto con Equitalia in relazione alle cartelle da agevolare, purché rinuncino allo stesso. La rinuncia dovrà essere espressamente indicata nel modulo di adesione.

Al fine di aderire al nuovo piano rottamazione cartelle sarà necessario presentare domanda entro il 31 marzo 2017 (non più entro il 23 gennaio).

Circa le modalità di pagamento, quest’ultimo potrà essere fatto in un’unica soluzione oppure ratealmente. Nel caso in cui si scelga di pagare a rate, in base alle ultime novità, è stato previsto il pagamento in 5 rate, tuttavia il 70% del debito dovrà essere stato pagato entro l’anno 2017.

A cura di Elisa Martorana

 

L’Avv. Simone Pesucci entra in MLS – Master Legal Service

logo-mlsil network Mls – Master Legal Service è un progetto di Dino Crivellari – fondatore dell’insegna omonima ed ex amministratore delegato di Unicredit Credit Management Bank – Francesca Crivellari e Licia Polizio.

Il network, che riunisce attualmente 35 professionisti con cui lo stesso Crivellari ha avuto modo di collaborare nel corso della propria carriera, ha l’obiettivo di favorire la circolazione di informazioni tra i membri del network e di fornire, in maniera integrata, a clienti e investitori l’assistenza necessaria nei diversi fori in cui i singoli professionisti operano.

Di seguito il link alla news:

http://www.toplegal.it/news/2016/10/20/18807/nasce-master-legal-service

 

Nullità notifica cartella di pagamento inviata mezzo PEC

Sul tema della notifica di cartelle esattoriali a mezzo PEC si segnalano alcune interessanti pronunce in tema di nullità della notifica che possono essere utilizzate nell’impugnazione delle cartelle esattoriali.

Infatti l’utilizzo della posta elettronica certificata per l’invio da un lato non consentirebbe di trasmettere la copia conforme della cartella, dall’altro non consentirebbe di garantire la corretta ricezione da parte del destinatario.

Siamo come sempre a vostra completa disposizione per l’assistenza legale anche in questa materia.

Vi lascio il testo integrale dell’articolo:

Sulla nullità della notifica delle cartelle di pagamento a mezzo PEC

Bio-edilizia antisismica

E’ possibile costruire in modo sicuro, consapevole, nel rispetto ambientale e con criteri antisismici??

Certamente si! Case in legno che resistono ad un terremoto simulato del 9° grado Ricther

 

Consiglio di guardare il video allegato a questo articolo.

 

Nuova riqualificazione energetica dei condomini

Per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente si punterà sugli interventi sui condomini e non soltanto sulle singole abitazioni.

Infatti i lavori realizzati sugli interi edifici potranno beneficiare delle percentuali di detrazione maggiori che se i lavori venissero eseguiti da ogni singolo condòmino.

Gli interventi sul sistema energetico nei condomini beneficeranno di bonus graduati in base all’entità dei lavori ed ai risultati raggiunti.

Si partirà quindi dal 65% (come nelle abitazioni private), ma si potrà salire al 70% se l’intervento interessa almeno il 25% dell’involucro edilizio.

Inoltre gli incentivi potranno arrivare al 75% nel caso in cui l’intervento porti al miglioramentosia del riscaldamento invernale che del raffrescamento estivo.

Gli incentivi saranno validi per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2021: le detrazioni saranno calcolate su un ammontare delle spese fino a 40.000 euro per ogni unità immobiliare che compone il condominio. Il rimborso avverrà in cinque anni anziché in dieci. Dovrà essere predisposta la relazione di Attestazione di Prestazione Energetica (APE) redatta da un tecnico abilitato, che certifichi i risultati ottenuti con gli interventi

L’Enea condurrà inoltre delle verifiche a campione per controllare la veridicità delle prestazioni raggiunte.: in caso di discrepanza con l’Attestato di prestazione energetica rilasciato dai professionisti dopo i lavori, il bonus potrà essere revocato.